RUBIK
Named after the Rubik’s Cube or Magic Cube, Rubik by Cristian Chironi is a live performance based on the world famous twisty puzzle invented in 1974.
On the stage is a big cube consisting of smaller cubes on each side. Each cube attached to another can be easily rotated and interchanged. Through the continuous and sharp intervention of the performer, the cubes can be assembled and reassembled giving endless possibilities. By simply using his body the performer can either neutralize or become a living part of the pictures displayed on the surface of each cube. The result is an architectural and dynamical sculpture whose central core is a body changing its costume.
The displayed pictures are unconventionally taken from various magazines and newspapers likewise the sound is unconventionally taken from the web (the source of the images – of very low quality – will be then revealed to the viewer). Taken separately they appear of no relevance, except for their popular nature, and could be easily replaced with others. Each picture shares a story that, if related to another, will initiate an uninterrupted chain of events. Each picture can be sectioned and each section provides a different experience for the viewer. The turning of a single cube implies a temporal, visual and functional alteration. As a result of the nature of its structure, Rubik is to be seen as a constantly changing work.
Rubik is a confession of “faith” in destiny, in the element that attracts and determines other faces of parallel stories, places, events, facts, chances, and roles. Synchronically and in an expanded time. The possible combinations of the cube are like a crossing point where distant events and people will be brought together for a brief moment on this earth. Rubik is a gentle portrait of humankind and of our present days. It is a multi-ethnic Babel of stories and human destinies, of moods and humour in which the performing escapism of the play becomes journey, narration, emotional tension and programmatic cerebralism. Rubik is the brain racker. Here, diverse geographies will connect as the time is zeroed out and the present is the performer’s body itself. Taktharova, Kabul, New York, Jerusalem, Leh, Prozor, Jakharta, Naples… Babel: brickwork and metaphor of apparent diversity and close distances.
It is said that a butterfly flapping its wings in Japan will unleash a hurricane on the other side of the world. The rotating of a single face of the Rubik’s Cube will cause all given conventions to fall down like a domino.
Rubik è un progetto performativo. Nominalmente e metodologicamente, prende spunto dal Cubo di Rubik o Cubo magico, celebre rompicapo inventato nel 1974. zLa scena è un grande oggetto, composto di più quadrati per lato. I quadrati sono facilmente ruotabili e intercambiabili. Attraverso un intervento perpetuo e chirurgico, l’immagine si compone e scompone in infinite combinazioni, in dialogo con il performer che talvolta la inficia con la propria figura o la prolunga nel reale. Si costruisce così una sorta di scultura architettonica e dinamica il cui perno è un corpo che muta di abito. Le immagini sulle superfici del cubo sono un’indebita appropriazione da riviste e giornali (così come i sonori dal web). Il retino tipografico ne rivela la fonte e le relega ad uno statuto di bassa qualità; singolarmente non hanno particolare importanza, se non per il loro carattere popolare e potrebbero essere sostituite da altre. Ciascuna presenta una propria storia che, associata ad un’altra immagine crea una concatenazione di eventi. Ogni immagine è sezionabile, ed ogni porzione osservata determina un diverso percorso esperenziale. Cambiando una sola piastrella del cubo, muta il percorso: temporale, visivo e funzionale. Rubik annovera i caratteri di un’opera mai uguale a se stessa. Rubik è un ‘credo’ nel destino, nell’elemento che richiama e determina altre facce di storie parallele, luoghi, eventi, fatti, casualità, funzioni. Sincronicamente, e in un tempo dilatato. Le possibili combinazioni del cubo sono incroci in cui eventi e individui lontani si toccano per un solo secondo sulla faccia della terra. Un affresco leggero sull’umanità, oltreché la misura di uno stato attuale. Una babele multietnica, di storie e destini umani, di umori e umorismi, in cui l’evasione performativa del gioco si trasforma in viaggio, narrazione, tensione emotiva e programmatica cerebralità. Rubik è il rompicapo. Diverse geografie si connettono in un azzeramento temporale, dove il presente è quello del corpo del performer. Taktharova, Kabul, New York, Cannes, Jerusalem, Leh, Prozor, Tienanmen, Jakharta, Napoli… Babele: costruzione di mattoni e metafora di una diversità apparente e distanze vicine. Si dice che una farfalla che batte le ali in Giappone, generi un uragano nell’altra parte del mondo. Ruotando una faccia di Rubik, le convinzioni acquisite cadono come in un domino.